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giovedì, 19 Settembre, 2024

Perché il monologo di Chiara Ferragni a Sanremo è potente nella sua semplicità

Isabella D'Andrea
Isabella D'Andrea
Giornalista pubblicista, scrittrice, femminista. Sono fuori tempo, in tutto. Ho vissuto tutta la vita con la sensazione che il tempo mi stesse sfuggendo dalle mani. Le mie notizie sono fuori tempo, in uno spazio dell'etere dedicato a chi non smette di sorprendersi, a chi ama approfondire, svagarsi e guardare le cose da un'altra prospettiva.

C’è chi la ama e chi la odia. Ma per noi figlie degli anni 90, che nel 2009 girovagando in rete abbiamo scovato per caso il blog dal nome insolito di questa incredibile ragazza originaria di Cremona e ci siamo innamorate del suo lifestyle, quella di Chiara Ferragni, un po’ come i film di Nanni Moretti per i post-sessantottini, è una voce generazionale.

E così è stato anche per il monologo che ha portato a Sanremo. Una presenza potente quella di Chiara Ferragni al Festival. Tant’è vero che Amadeus l’ha voluta e invitata per tre anni consecutivi. Perché potente? Perché fotografa la realtà e arriva a tutti, in maniera semplice, diretta, provocatoria. Perché smuove le masse, perché scuote anche chi certi problemi non se li è mai posti. E chi non ci sta dentro non si rende nemmeno conto di che cosa significhi vivere incasellato nelle etichette imposte dalla società.

Il primo modo in cui sceglie di comunicare sul palco è, ovviamente, con la moda, e allora ogni abito è un messaggio. Quattro abiti, quattro messaggi, uno più forte dell’altro (senza contare la sensibilizzazione sulla violenza portata sul palco insieme alle donne di D.i.Re)… o, meglio, un solo grande messaggio rivolto a tutte le donne: quello di essere se stesse e di rifuggire le etichette sempre, anche se è difficile, anche se viviamo in un mondo di maschilisti, anche se non veniamo prese sul serio.

Gli abiti manifesto di Chiara Ferragni

Gli abiti indossati da Chiara Ferragni nella prima serata del 73esimo Festival di Sanremo.

Inizia da PENSATI LIBERA (il concept del tatuatore e street artist cicatrici.nere notato a Genova da Claire Fontaine nel 2019 e poi proposto a Maria Grazia Chiuri) ricamato sulla stola manifesto di Dior. “Parole semplici, eppure forti, per ispirare tutte le donne a sentirsi libere di uscire dal ruolo imposto loro dalla società”, come si legge sul profilo della Ferragni. Una presa di coscienza della stessa imprenditrice digitale “per non essere incasellata in uno spazio identificato per lei dal patriarcato”, ma anche “una promessa che lei stessa si fa ogni giorno mentre lotta per non doversi sentire in colpa del suo successo di donna”.

L’imprenditrice passa poi all’abito più sfacciato, il vestito senza vergogna, per la libertà delle donne di disporre del proprio corpo. Un’illusione di nudità, quella ottenuta con un ricamo trompe l’oeil che riproduce il suo corpo sul vestito tulle color carne, che vuole sottolineare come il decidere di mostrarsi sensuale non costituisca in alcun modo un’attenuante o una giustificazione alle violenze degli uomini. Un gesto per sdoganare l’associazione dei concetti di peccato e vergogna alla nudità femminile.

La co-conduttrice della prima serata del Festival prosegue con l’abito contro l’odio, che porta sul palco alcune delle critiche sessiste a lei rivolte su instagram, per sensibilizzare sulle offese degli haters su internet, e conclude con l’abito gabbia, ispirato all’opera di Jana Sterbak, per liberare le nuove generazioni dagli stereotipi di genere nei quali spesso le donne si sentono ingabbiate, nella speranza di rompere le convenzioni imposte dal patriarcato.

Insomma, forse sarebbe bastato già questo a sensibilizzare le masse e a spingere gli oltre 10milioni di spettatori a porsi qualche domanda. Ma è la lettera che Chiara scrive alla se stessa bambina a fare rumore.

Il monologo di Chiara Ferragni a Sanremo

Dopo i suoi abiti, Chiara sceglie di comunicare con una lettera alla sé bambina. Una lettera che ha sollevato numerose critiche. Ma d’altronde “nel bene o nel male, purché se ne parli”, si diceva. E di certo dobbiamo riconoscere che mettere la sua visibilità al servizio di certi temi, e portarli peraltro sul palco più popolare d’Italia, è già un enorme successo. Del resto, come detto poc’anzi, chi non si trova imprigionato nelle etichette imposte dalla società non sa cosa voglia dire essere donna. Sì, anche nel 2023, ancora nel 2023, quando si parla già di uguaglianza, ma non si conosce nemmeno bene il significato del termine femminismo e se ne sbaglia, spesso e purtroppo, l’accezione.

E allora no, Chiara Ferragni nel suo monologo non è stata troppo autoreferenziale. Sono i giornalisti che devono stare dentro la narrazione senza protagonismo – eppure finiamo sempre per tradirci -, ma lei, Chiara Ferragni, deve portare il suo esempio, la sua storia. Per far capire a questo branco di maschilisti che essere donna non è un limite e che nella vita si può fare tutto.

Non ha peccato di autoreferenzialità. Anzi, è proprio quello a caricare le sue parole di potenza, altrimenti sarebbe stato il solito discorso fine a se stesso.

Perché il monologo di Chiara Ferragni a Sanremo è potente nella sua semplicità

Il monologo di Chiara Ferragni sul palco dell’Ariston, la lettera che scrive alla se stessa bambina, è potente proprio perché è autoreferenziale. Perché Chiara Ferragni non porta sul palco parole vuote, ma l’esempio lampante che essere donna non è un limite e che nella vita si può fare tutto. Proprio come ha fatto lei, che di etichette – se vogliamo metterla in questi termini – ne veste molte. Imprenditrice di successo, donna bellissima e alla moda, moglie, madre, figlia, sorella. Eppure, al tempo stesso, le straborda tutte, mostrandoci come non rimanere imprigionate nei ruoli che la società ci impone; come darne, piuttosto, la nostra personale interpretazione e costruire la nostra storia.

La lettera alla Chiara bambina parla a tutti: in modo semplice e diretto arriva a tutte quelle donne che almeno una volta nella vita non si sono sentite abbastanza, spesso solo per il fatto di essere donne. Ma, forse, smuove anche i fautori della società patriarcale.

I punti toccati dalla sua lettera

Dall’importanza di accettarsi e di piacere a se stesse, fino alla sindrome dell’impostore, Chiara Ferragni porta sul palco un inno a non mollare, nonostante il lavoro che quotidianamente dobbiamo fare su noi stesse noi che non ci sentiamo mai abbastanza. “Non piaccio proprio a tutti – ha detto -, ma penso finalmente di piacere a me stessa, e questo è un ottimo inizio”.

Ma normalizza anche la crisi dei trent’anni. Quel senso di insoddisfazione e di vuoto, quella pressione sociale e personale di essere in ritardo rispetto alle proprie aspettative, quella sensazione del tipo “la situazione avrebbe bisogno di un adulto per risolversi e l’adulto sei tu” con la quale tutti i trentenni si trovano a dover fare i conti. E si sentono persi.
Tutti noi da bambini siamo stati convinti che un giorno avremmo avuto tutte le risposte agli interrogativi della vita, forse per la sicurezza che ci infondevano i nostri genitori quando avevano la stessa età. Loro sì che sembravano sapere tutto. E invece no, siamo e saremo sempre le stesse persone, e probabilmente le nostre insicurezze ci accompagneranno per il resto dei nostri giorni, perché non si smette mai di crescere e di imparare. Nemmeno quando i genitori siamo noi.

Essere donna non è un limite

Ribadisce di non farci bloccare dalla paura, “perché le sfide più importanti sono sempre nella nostra testa e solo con noi stessi”, e perché “se una cosa fa paura probabilmente è la cosa giusta da fare, e solo rischiando si vince veramente”. Snocciola anche il senso di colpa, quella sensazione di sentirsi sbagliate, che le donne provano ad avere altri sogni oltre all’essere madre. Perché la nostra società e cultura spesso ci collocano in questa identità già prestabilita e identificata. E ci riducono solo a quello, ci fanno sentire come se avessimo una data di scadenza.

Non sminuirti mai di fronte a nessuno: noi donne siamo abituate a farci piccole di fronte a uomini insicuri – ha ribadito dal palco dell’Ariston -. Da donna dovrai affrontare troppe battaglie, dal dover lavorare il doppio di un uomo per farti prendere sul serio al non poter vivere liberamente nel tuo corpo”. Esortando le donne a sfidare il sessismo purtroppo normalizzato e a non avere mai paura delle conseguenze dell’essere se stesse. “Essere una donna non è un limite, dillo alle tue amiche e lottate insieme ogni giorno per cambiare le cose, io ci sto provando” il grido di chiusura denso di empowerment e solidarietà femminile.

Una sfida che non annoia mai

Se sei uomo, tanto nel lavoro quanto nella vita privata, vieni giudicato soltanto in base alla tua bravura e serietà. Se sei donna essere brava non basta: devi dimostrare di valere molto più degli altri, devi lottare molto più degli altri. Il punto è che se sei donna devi sempre dimostrare, spiegare o giustificare qualcosa, persino le scelte private.

E non è un luogo comune, non lo dice solo il monologo di Chiara Ferragni a Sanremo. Potremmo impelagarci in centinaia di anni di storia, di lotte e rivolte, ma senza andare troppo indietro nel tempo, lo diceva già la Fallaci nel 2004 in Lettera a un bambino mai nato: “Essere donna è un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. [ ] Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata”.

Ma lo diceva anche Rita Levi Montalcini, quando ai convegni le veniva chiesto se fosse lì per accompagnare il marito, che le donne hanno sempre dovuto lottare doppiamente. E non solo per sudarsi il diritto di voto. Devono continuare a farlo ancora oggi, ogni giorno, per convincere gli altri di valere abbastanza.

Le critiche al monologo di Chiara Ferragni a Sanremo

Sono state numerose le critiche al monologo di Chiara Ferragni a Sanremo, lo dicevamo. A cominciare dalla rivendicazione anti-marketing del proprio concept da parte dell’artista cicatrici.nere, passando per chi sostiene che il suo discorso sia stato troppo banale, fino ad arrivare a chi asserisce che non si possa parlare di empowerment con un discorso autoreferenziale. La cosa certa è che si poteva dire di più sulla vittimizzazione secondaria o sulle modalità per contattare i centri antiviolenza – così come si poteva dare maggiore dignità alle operatrici chiamandole per nome e cognome -, ma certamente l’associazione D.i.Re Donne in Rete contro la violenza avrà ora tutta la visibilità che merita (e il profilo ig di Amadeus ne è l’esempio lampante).

E intanto grazie Chiara, per aver dimostrato dal palco più popolare d’Italia che essere donna non è un limite.
Ora non resta che aspettare di scoprire cosa ci riserverà la co-conduttrice per l’ultima serata.

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